Perchè la vita merita di essere raccontata

Categoria: educazione

Perché studiamo?

Studiamo (congiuntivo esortativo, qui e sotto) per trasformarci; per darci sempre nuove occasioni di crescita; per non cadere nella noia, nell’insensatezza, nella violenza. Studiamo per capire noi stessi: come ragioniamo, dove sbagliamo, dove eccelliamo; come possiamo migliorarci. Studiamo per capire gli altri. Studiamo per appartenere al mondo; per uscire dalla prigione dell’egoismo e per ritrovarci un po’ più lontano, in compagnia di nuovi amici.

Nicola Gardini – Studiare per amore

Era la domanda delle domande quando ero un giovane studente: ma perché devo studiare? A cosa mi servono le espressioni matematiche, a cosa mi serve conoscere la vita di Luigi XIV o la formula chimica dello zolfo?

Nella scuola che ho frequentato io – fatta esclusivamente di risposte sterili – nessuno mi ha mai dato una reale motivazione per dare un senso a tutta quella fatica, perché sì, diciamolo, gli studenti fanno una fatica immensa.

L’ho capito nel tempo, troppo tardi. L’ho capito ancora meglio nel libro di Nicola Gardini, “Studiare per amore”, un testo che offre diversi stimoli. Se mi avessero detto che studiavo per crescere e trasformarmi, per capire me stesso, per migliorarmi, per capire gli altri, per appartenere al mondo sarebbe stato tutto molto diverso. Forse sarei uscito dal “cosa ci faccio” a “cosa può fare in me” quel tale argomento.

Nei giorni in cui molti studenti stanno per tornare in classe, lascio loro questo messaggio nella speranza che possano trasformarsi come persone in questo anno di studio. Sarà un compito – e in tal caso un merito – di tutti gli insegnanti che trasmetteranno nozioni non per verificare gli apprendimenti ma per contribuire a trasformare delle persone. E il futuro.

Bambini e petali

“Ai bambini e alle bambine che ho incontrato devo tutto quello che sono, tutto quello che so, tutto quello che ho capito, tutta l’umanità che ho recuperato e quella in me che ho curato”

emy mignanelli, l’età dimenticata

Si è concluso da poco un altro anno scolastico. Arriva il tempo del silenzio, dopo il chiasso dei corridoi, delle aule, del refettorio, del giardino, della palestra per un insegnante è ora del silenzio. Non solo assenza di rumore ma anche di assenza di parole, risate, battute, condivisioni, riflessioni, tante riflessioni. E’ un tempo da tanti invidiato, per me un tempo fermo, dove rigenerare le forze, pensare e progettare. Un tempo necessario – per me anche troppo lungo – perché la stanchezza è il pericolo più subdolo quando si educa.

Faccio mia questa frase molto bella tratta da un libro di Emy Mignanelli, “L’età dimenticata”, lettura che consiglio nel periodo estivo. Ai bambini e alle bambine devo quello che sono, che so, che ho capito e l’umanità che ho vissuto sulla mia pelle è stata da stimolo e cura, lascia in me ancore a cui aggrapparmi nel navigare della vita. Una umanità delicata come petali. Perché in fondo i bambini non sono altro che petali di vivaci fiori.

Me lo ricordo quell’insegnante

Me lo ricordo quell’insegnante. Sì, me lo ricordo perché un vero insegnante sa in-segnare una vita e quel tocco magico non se ne va più.

Me lo ricordo quell’insegnante che, poco più che bambino, mi affascinò con il carisma, perché solo quelli veri hanno carisma.

Me lo ricordo quell’insegnante che un giorno perdonò una mia acerba ingerenza: solo quelli veri sanno mettere davanti la gentilezza e la dolcezza.

Me lo ricordo quell’insegnante che metteva al primo posto i suoi allievi, mai se stesso. E’ dote rara di chi si sente al servizio e mai servito.

Me lo ricordo quell’insegnante che mi ha accompagnato per lunghi anni della mia vita, ascoltandomi, rispettandomi e aprendo il suo cuore.

Me lo ricordo quell’insegnante che, una volta cresciuto, riuscì a trasformare l’insegnante in un amico, perché le differenze di età le persone vere non le calcolano proprio.

Me lo ricordo quell’insegnante che tornò ad insegnarmi, una volta cresciuto, con la stessa passione e carisma di un tempo: anche se un po’ arrugginito un vero maestro non perdere mai lo smalto per ciò che ama.

Me lo ricordo quell’insegnante che mostrò i suoi punti deboli dell’anima, perché sapeva essere uomo prima che qualsiasi altra cosa.

Me lo ricordo quell’insegnante che ho accompagnato fino alla partenza da questa terra; insieme c’erano i suoi allievi perché un vero maestro unisce e riunisce.

Me lo ricordo quell’insegnante. Certo che me lo ricordo perché ho avuto l’onore di essergli al fianco.

Me lo ricordo quell’insegnante portandolo con me ogni giorno, nella speranza di essere solo una briciola della sua grandezza.

Me lo ricordo quell’insegnante perché persone così toccano una vita e segnano un’esistenza.

Due madri leonesse

Una strada sterrata. Due leonesse, simbolo di forza, dominio, potenza, formidabili cacciatrici. Poco distante alla loro sinistra un piccolo leoncino, probabilmente nato da poco viste le dimensioni. Il piccolo cammina con un passo apparentemente incerto, muove i primi passi nel mondo: quel territorio – scoprirà in seguito – dove la lotta per la sopravvivenza è all’ordine del giorno. Dovrà imparare a cacciare, a stare lontano dai pericoli, farsi forte e robusto.

In questa foto le due leonesse non proteggono il cucciolo, piuttosto mantengono una distanza; il messaggio è chiaro: noi ti proteggiamo ma inizia a fare da solo, segui il nostro andare.

Trovo queste due leonesse delle perfette educatrici. Stando al loro fianco il cucciolo crescerà con il loro esempio, imparerà ad imitarle fin dai primi passi. Le leonesse devono essere per lui un esempio di sicurezza, coerenza, forza e coraggio. Un po’ come fanno le anatre con gli anatroccoli sulle rive del fiume: prima si butta la madre e – in seguito – i piccoli.

Il mondo animale, con la sua spontaneità , è maestro.

Ci comportiamo diversamente noi umani; vediamo mamme e papà apprensivi, protettivi fino ad inibire totalmente le capacità di crescita di un figlio. Incontro bambini incapaci di assolvere alle più normali funzioni vitali: allacciarsi le scarpe, togliere un giacchetto, risolvere semplici problemi quotidiani perché abituati ad avere un adulto alle spalle che si sostituisce completamente a loro. E così invece di avere due leonesse che camminano al fianco di un cucciolo nella savana, vediamo tre bambini (mamma, papà e figlio) i cui ruoli non sono ben definiti e spesso si interscambiano.

In ogni camera dove dormono due genitori dovrebbe esserci una foto come questa che possa ricordare che la vita è camminare insieme, dare l’esempio e segnare il passo.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén