Perchè la vita merita di essere raccontata

Categoria: libri

Non sarebbe più bello se il mondo funzionasse senza fili?

Non sarebbe più bello se tutto fosse come la musica, se tutto funzionasse senza fili? Anche noi due?

Tutto. La vita, le relazioni, gli amori, il sesso, le amicizie, la famiglia, il lavoro, le ossessioni, le gioie, i trionfi. L’estasi. Tutto senza fili. Non sarebbe bello se il mondo funzionasse così? Senza nodi né inciampi? Senza costrizioni. Senza appigli né incastri. Senza i fili della memoria, senza fili del tutto.

Alessandro barbaglia, l’invenzione di eva

Ho sempre apprezzato la scrittura di Alessandro Barbaglia, leggo i suoi libri con molto interesse, li trovo vivaci, mai banali, ben scritti e con delle storie che hanno la capacità di catturare il lettore. Non ha deluso le mie aspettative “L’invenzione di Eva”, che racconta la storia di Hedy Lamarr, la donna più bella del mondo all’inizio del ‘900, la prima attrice a girare una scena di nudo nel cinema degli anni ’30, geniale, trasgressiva, diva. I disegnatori di Biancaneve e di Wonder Woman si ispirarono alla sua bellezza per trovare l’icona di bellezza perfetta.

Ma non è tutto. Hedy Lamarr era anche una inventrice e… che inventrice! Se oggi con i nostri telefonini cerchiamo il wi-fi per una navigazione veloce lo dobbiamo a questa donna, capace di intuizioni geniali quanto inverosimili per il suo tempo; non veniva presa sul serio perché era donna, perché era bella e perché in fondo era una che aveva girato una scena di nudo. Hedy però non ha desistito, convinta – sempre – delle sue scelte.

Il libro lo lascio alla curiosità dei lettori, che spero di aver stuzzicato.

L’estratto che riporto in questo articolo ha catturato la mia attenzione. Hedy Lamarr pronuncia queste parole quando da bambina il padre la porta a vedere uno dei primi tram nella sua Vienna. Sembrava un mezzo di trasporto all’avanguardia, la bambina però rimane apparentemente delusa. Perché? Perché il tram aveva i fili elettrici… Colui che osserva è colui che sa vedere oltre, trova un senso esistenziale anche in un’invenzione.

Vivere senza fili, senza nodi nè inciampi (chi di noi non si esaurisce quando vede tutti i cavi intrecciati?), senza costrizioni, senza nulla che possa incastrarci: un concetto da estendere alle nostre relazioni, fatte spesso di formalità, frasi fatte, gesti scontati a volte di circostanza. Sarebbe bello avere un’unica connessione nei cuori, capace di uscire da ciò che impedisce una relazione sincera e vera.

Hedy Lamarr anche in questo aveva visto molto altro, come sempre.

Che cosa ricordano, gli altri, di noi?

“C’è una domanda che mi ossessiona. Non è facile formularla. È indiscutibilmente oziosa, forse perfino stupida, ma non c’è niente da fare, brucia. Somiglia a un livido persistente. La tocchi, fa male. Che cosa ricordano, gli altri, di noi?

paolo di paolo, romanzo senza umani

Ho appena terminato la lettura dell’ultimo libro di Paolo Di Paolo, autore che non conoscevo nonostante la fiorente produzione passata. Un libro davvero particolare, difficile da raccontare e da riassumere, consigliato per intensità e stile letterario. Il protagonista, Mauro Barbi, è uno storico che ha dedicato molti studi ad una glaciazione avvenuta nel tardo Cinquecento nel Lago di Costanza in Germania; la sua ossessione però non è solo studiare il fenomeno metereologico quanto cercare nel suo passato persone che non vedeva più da molti anni. E si mette alla ricerca, in modo originale, di persone che hanno significato qualcosa nella sua vita; nomi conservati silenti nel suo cuore che prova a svegliare mosso da una stuzzicante domanda: cosa ricordano, gli altri, di noi? E’ questa domanda che muove il romanzo.

Mi sono chiesto, durante la lettura, quante sono le persone che abitano in una mansarda dei miei ricordi; nomi e volti che hanno rappresentato qualcosa nella mia vita, che mi hanno lasciato una frase, un pezzo del proprio vissuto, un abbraccio, un bacio, una carezza. Nomi e volti che vivono silenti nel mio cuore. Cosa ricordo di loro e loro cosa ricorderanno di me?

E’ una domanda che fa parte dei misteri della nostra esistenza, di quel vissuto di cui non sapremo mai, la cui risposta aleggia nell’aria, scritta nelle anime con un inchiostro a tratti visibile. A meno che, come ha fatto Mario Barbi, non decidiamo di riaprire i contatti, mettendo in conto i rischi del caso.

Scriviamo per variazioni

La letteratura si è dotata dell’onnipotenza della descrizione. Non ci fossero più nuovi libri, ce ne sarebbero comunque a sazietà. Perché aggiungerne altri, se tutto è già stato narrato? La mia risposta è: variazioni. La letteratura è l’infinita redazione di varianti.

Continuiamo a leggere paesaggi, personaggi, avvenimenti dalle nuove, disparate e disperate angolazioni. Un diamante ha cinquantotto facce, la persona umana molte di più

erri de luca, discorso per un amico

Girando per gli scaffali di una libreria vedo tanti volumi. A volte penso troppi. Perché si scrivono così tanti libri? A parte per gli scrittori professionisti che hanno il privilegio di “vivere” di scrittura, per molti credo sia più una passione, come nel mio caso.

Nonostante veda centinaia di titoli, non resisto ai libri di Erri de Luca. “Discorso per un amico” è una deliziosa storia di amicizia tra lo scrittore napoletano e Diego, compagno di scalate e arrampicate. Mi sono perso tra le delizie di queste pagine, dei racconti che ne sono nati dove le parole vengono scelte con cura e attenzione.

Tra le tante pagine sottolineate ho scelto questo pensiero. Scriviamo per variazioni, perché abbiamo infinite facce da esplorare, molte di più di un diamante. Ed Erri de Luca in questo libro ci fa scoprire la meraviglia della montagna più intima, più profonda, dove tutto sembra formare un disegno capace di avvolgere l’uomo in tutte le sue dimensioni, umane, intime, spirituali.

Del resto, scriviamo per variazioni.

Perché proprio il portiere?

«Ma perché proprio il portiere?» . Andrea fu come se si illuminasse: «Perché è diverso da tutti gli altri, è folle ma anche un po’ solo. Perché è come un principe con il suo regno: gli altri si azzuffano per il campo, lui invece è il signore del suo spazio, è libero, non dipende da nessuno. E poi è piú facile segnare che parare e a me piacciono le cose difficili».

Roberto vecchioni, tra il silenzio e il tuono

Dei tanti ruoli che si possono occupare nel rettangolo di gioco, il portiere si distingue dagli altri: per la divisa, per la posizione, perché può toccare il pallone con le mani, perché spesso è lì da solo, l’ultimo baluardo della squadra, colui in cui tutti i tifosi ripongono la speranza della parata miracolosa.

Nell’ultimo libro di Roberto Vecchioni “Tra il silenzio e il tuono”, in una delle tante deliziose lettere, si parla di Andrea, che aveva scelto il ruolo del portiere. Colui che deve fare le cose difficili, perché parare è più difficile di segnare. Sarà, ma quando da piccoli chi finiva in porta era il più debole della squadra, quello che non ci voleva mai stare perché un gol passa alla storia, una parata decisamente meno. Addirittura una papera può togliere il sonno per diverse notti, forse per anni.

Mi soffermo spesso a guardare il portiere: immagino i suoi pensieri, deve riporre molta speranza nella difesa capace di neutralizzare gli attacchi degli avversari, così come deve affidarsi a tecnica, istinto e un po’ di pazzia. Sì, perché per stare lì a farsi prendere a pallonate ci vuole coraggio e un pizzico di follia. Faccia a faccia, senza paura.

Le carezze della terra

La terra si sentì rispettata e sollecitata, e regalò nel tempo dovuto un bellissimo raccolto. Gnazio se lo aspettava, ma non per questo non ringraziò la terra e il vento, e restituì un sorriso e molte carezze a quell’oro che copriva il verde e si muoveva silenzioso nella brezza che veniva dal mare. (Andrea Camilleri, Maurizio de Giovanni, Il canto del mare)

andrea camilleri, maurizio de giovanni, il canto del mare

“Il canto del mare” è un libricino molto bello, l’ho letto con interesse. E’ una favola per adulti, con tutto l’incanto di un romanzo poetico di Camilleri, reinterpretato da Maurizio De Giovanni, arricchite dai disegni Mariolina Camilleri, ultimogenita del grande scrittore siciliano.

Il lettore si perde in questa favola dove c’è tutto quanto possa emozionare: l’amore, l’arte della narrazione, la natura, l’avventura, una sirena, gli alberi e ovviamente il mare. Il protagonista, Gnazio, il mare non lo può neanche vedere, ricordo di un viaggio da emigrante nella lontana America. Eppure impara a conviverci, mettendo con esso una rispettosa distanza di sicurezza. Gnazio ama la terra, la rispetta, la valorizza, la tratta con il rispetto dovuto ed essa – riconoscente – lo ricompensa sempre. Fedele al suo amore e al rispetto per la terra non scenderà a compromessi, diventerà la sua ragione di vita.

In questo tempo dove l’uomo sembra aver dichiarato guerra al bene comune del creato, c’è da imparare che la terra ci nutre, è “madre” come la chiamava San Francesco. E come Gnazio non dovremmo smettere di ringraziarla. Il suo sorriso non mancherà.

Prendiamoci cura delle parole

“Poi c’è il linguaggio: non è forse metro di accudimento? Immagina una terra che rimane muta, prova a pensare a giorni simmetrici senza vocabolario, le parole non nate o non accolte sarebbero aborti di piccole memorie e piccole storie. Le storie sono terra fertile e, come diceva tuo nonno, piene di contraddizioni per tenerci in equilibrio”. (Valeria Tron, L’equilibrio delle lucciole)

Ci sono giorni in cui le parole esagerano. Mi invadono, mi cercano, altre volte addirittura mi perseguitano: queste ultime sono quelle più inutili, sprecate, pezzi di frasi malsane che nascono da bocche aride. In momenti come questi, mentre scrivo, lascio spazio al silenzio per riappropriarmi delle parole che scorrono sulla tastiera. Le cerco nella mia memoria, le ritrovo, le riabbraccio. E’ in momenti come questi che sento l’accudimento, dove le parole scritte nel vocabolario diventano memoria, racconti, ricordi, speranze.

Siamo esseri dotati di linguaggio verbale, gli unici. A volte bastano poche parole per inventare storie, altre volte ne servono di più per rivivere il passato, altre volte le parole diventano note tra lunghi silenzi, sono centellinate, cercate e curate.

Prendiamoci cura delle parole.

Il deserto di “Fratellino”

«Voi qui avete il mare ma noi là abbiamo il . Se i tuoi occhi non hanno mai visto il deserto, non puoi capire bene che cos’è. Il deserto è un altro mondo, ci entri e pensi: “Non uscirò mai da qui”».

Sotto suggerimento di Papa Francesco, ho letto il libro “Fratellino”. Mi aspettavo un libro duro, capace di far sussultare le coscienze. Le aspettative non sono state deluse, anche se ero “preparato” dal momento che un libro simile, di straordinaria intensità narrativa (Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura) aveva già toccato il tema del dietro le quinte del fenomeno migratorio.

Quando vediamo i barconi arrivare a Lampedusa, stipati di uomini, donne e bambini, stiamo vedendo l’ultimo secondo di un film lunghissimo; il finale spesso tragico dell’arrivo dei migranti è narrata in questo libro “Fratellino”, che pone l’attenzione sui momenti drammatici che vivono i migranti molto tempo prima di salire su un barcone. Un tragico “dietro le quinte” spesso ignorato.

Quando sentiamo parlare di “tratta di esseri umani”, “sfruttamento”, “schiavitù”, sembrano parole distanti da noi, come il deserto che Ibrahim si è trovato ad attraversare. Il protagonista narra, non scrive, la sua storia con tutto il realismo del caso, senza fare sconti. Il lettore non può che rimanere attonito davanti a tanto orrore; in Africa ci sono armi ovunque, una violenza senza pietà che si riversa nei confronti di chi prova a darsi un’altra possibilità fuggendo dalla fame e dalle guerre, ritrovandosi invece in una morsa di violenza e sfruttamento che meritano l’attenzione dell’intera popolazione mondiale.

Quando vediamo queste persone arrivare dal mare dovremmo conoscere le loro storie, da cosa realmente scappano e quanto è costato il loro viaggio fin qui. “Fratellino” è una storia triste quanto drammaticamente attuale; accogliere i migranti è un normale gesto di umanità, che sembra tanto difficile comprendere. La legge del mare e la legge dell’uomo non può abbandonare nessuno, soprattutto chi fugge.

Mi sono trovato anche io nel deserto con Ibrahim, partito alla ricerca di un fratellino di cui non aveva più notizie; mi sono perso nel deserto di questa umanità in cui tanto credo, incapace però di riconoscere e ritrovare i nostri fratellini.

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