E’ iniziato il tempo estivo. Mi reco al fruttivendolo e tra la tanta merce esposta una più delle altre attira la mia attenzione. Sono i cocomeri, come li chiamiamo a Roma; meno attraente è il nome anguria, suggestivo in napoletano “melone d’acqua”. Mi soffermo a guardarli e con estrema delicatezza dò un colpetto o una carezza a quei gusci rotondi e lisci.
Il loro arrivo in casa viene associato ad un momento gioioso, l’arrivo del caldo e l’esperienza di poter gustare un frutto saporito e povero di zuccheri, l’ideale per idratarsi. Per gustarlo deve fare caldo, non mangerei mai una fetta di cocomero in inverno. I cocomeri suscitano in me tanti ricordi: estate, caldo, festa, freschezza, sapore, gente, allegria.
Partiamo dal più antico e più tenero. Mio padre la domenica mattina mi portava da un certo “Peppone”, personaggio singolare, fruttivendolo barese che aveva un banco di frutta a Viale di Tor di Quinto. Tanta buona frutta ma soprattutto una piramide di cocomeri accatastati, mentre alcuni erano immersi in una grande vasca d’acqua. Era Peppone – che la domenica pomeriggio ritrovavamo “bagarino” allo stadio – a scegliere il più buono. Il cocomero è papà la domenica mattina, ricordi di un tempo trascorso insieme.
Sempre con mio padre e la mia famiglia avvenne un episodio divertente. In viaggio verso un paese marchigiano, ci fermammo lungo la strada per una sosta. Mio padre fu attratto da un cartello: “cocomeri 350 lire”. Un ottimo prezzo, pensammo, la media era intorno ai 1000 lire. Mio padre si precipitò e pagò poco più di 7.000 lire. In macchina si chiese quanto potesse pesare un cocomero per aver pagato così tanto. Leggendo bene il cartello, tutto storto sotto al prezzo c’era scritto: “350 lire al mezz kil”. Un genio!
Ripenso ad un’estate a Tarquinia con la mia famiglia. Era ferragosto e – per tradizione – ero io a dovermi occupare del cocomero. Per l’occasione ne trovai uno enorme, quasi 20 kg! Oltre ad offrirlo a tutti dovevo anche tagliarlo, rigorosamente nel senso della larghezza e non della lunghezza. Ancora oggi se vedo un cocomero intero dico “fermi tutti, faccio io, è mio!”. Mi piace sentire lo scrocchiare e il profumo che mi invade.
Impossibile dimenticare un cocomero turco. Sì… servito da un cuoco turco su una delle navi in cui mio zio era proprietario, battente bandiera turca. Ricordo che al termine della cena il cuoco si presentò a tavola con un cocomero interamente scavato a forma di cestino. All’interno frutta fresca con cubetti di ghiaccio, una meraviglia da vedere e da gustare.
Tante volte mi sono fermato a mangiarlo per strada, come si fa a Roma nelle notte estive. Ricordo una sera che con mio fratello ne comprammo uno intero; assetati e accaldati non resistemmo ad aprirlo subito, anche se non era ancora fresco ne divorammo tre fette con una foga mai vista, del resto era dolcissimo!
Famoso è un cocomero disperso nel Mediterraneo… Il mio amico Mauro avrebbe voluto mangiarlo fresco e per questo lo mise in riva al mare, pensando di averlo fissato bene. E invece, il cocomero ribelle, ha deciso di iniziare la sua navigazione facendo perdere le tracce. Ancora oggi scherziamo sperando di ritrovarlo da qualche parte…
Il cocomero mi dà un senso di gioia, di compagnia e di festa. Meno avvolgente è consumarlo da soli.
Mi piacerebbe visitare un campo di cocomeri, come Linus che aspetta il “grande cocomero”. Chissà, forse anche io potrei affidare un desiderio e aspettare una fetta come ricompensa…
Non ci resta che aprire il frigorifero, tagliarne una fetta e decretare che è iniziata l’estate.