Nel paese in cui vivo ci sono molte gelaterie, ma pochi gelatai. Per gelataio intendo quella persona che alacremente lavora nelle retrovie di un negozio per offrire ai suoi clienti un prodotto artigianale, frutto del lavoro dell’uomo, dell’esperienza e della fantasia creativa.

Stefano era il gelataio del mio paese, non l’unico forse, ma sicuramente colui che quando lo incontravo potevo dire “è il mio gelataio”. Un lavoro bello perché fa felici le persone: immagino quanti bambini hanno atteso dalle sue mani il cono con il cioccolato e il pistacchio, quante famiglie hanno vissuto una pausa nel loro andare con una coppetta, quante coppie si sono dette parole dolci mentre gustavano una granita o quanti – come me – si fermavano per il solo gusto di una pausa rinfrescante nella calura estiva. Non conoscevo la vita privata di Stefano; non so quali fossero i suoi dolori, le sue gioie, i suoi sogni al di fuori di quel bancone. Lo vedevo sempre e solo lì, mentre mi porgeva con un sorriso non commerciale ma sincero, un cono generoso. Eh sì, perché i suoi coni erano generosi anche con il prezzo minimo, non come in alcune gelaterie dove la delusione inizia già dalle dimensioni del gelato.

Passando fuori dal negozio quest’oggi l’ho trovato chiuso con la malinconica scritta “chiuso per lutto”. Si chiude la vita di un uomo, i suoi progetti e quel suo modo di produrre gelati di qualità.

Abbiamo sempre bisogno di confrontarci con persone vere, di trovare commercianti capaci di andare al di là del guadagno economico, disposti a donare un sorriso, una parola gentile, una battuta. Non come le anonime casse self service dei centri commerciali o i distributori automatici che obbediscono alla sola logica commerciale.

Teniamoci stretti i gelatai, i fornai, gli artigiani, tutti coloro che – come Stefano – trasmettevano una passione al di là del prodotto.

Ed ora il gelato non sarà più lo stesso.