“Il teorema del peluche, anche se cosí è troppo generico perché nessuno chiama peluche il peluche ma gli dà un nome – monito questo a non essere mai generici e astratti nelle faccende sentimentali e logiche –, dovrebbe avere per enunciato È vivo ciò che ci sembra vivo o anche, in una formulazione piú ampia, è vivo tutto ciò che suscita in noi sentimenti di amore, consolazione, disapprovazione, odio (aggiungete a piacere) e relativi movimenti del corpo piú o meno percettibili. È vivo ciò che ci sommuove, commuove, turba e perturba, ci sposta o devia dallo stato in cui siamo”
Chiara valerio – la tecnologia è religione
Guardo gli oggetti intorno a me. Nel mio studio dove scrivo, lavoro, suono e dove passo gran parte del mio tempo domestico, ce ne sono tanti. Oltre ai libri, al pc, alla cancelleria, ci sono le mie chitarre, strumenti per suonare che già da soli contengono più di una storia; la mia vita è scolpita sui miei strumenti che mi accompagnano fin dall’adolescenza.
C’è poi un angolo, piccolino, dove sostano strani oggetti: la maggior parte a tema musicale, ma non solo. Li osservo spesso e come faccio con tutti gli oggetti che incontro, mi parlano, mi suscitano un ricordo, un’emozione, un incontro, una storia. Mi ricordano persone care, amici, bambine e bambini. Cerco di non accumulare, non solo per motivi di spazio, ma anche perché non posso saturare il mio personale contenitore di emozioni. Ovviamente non conservo ciò che mi provoca dolore.
E’ vivo ciò che ci sommuove, commuove, turba e perturba: ha ragione l’autrice del libro “La tecnologia è religione”, Chiara Valerio. Ogni oggetto che conservo – apparentemente dalla forma e dal valore insignificante – muove in me un’emozione. Non riesco a farne a meno di approcciarmi alle cose con questa modalità.
Da oggi la chiamerò “teoria del peluche” perché un oggetto può andare oltre quello che rappresenta. Almeno per me.