«Ma perché proprio il portiere?» . Andrea fu come se si illuminasse: «Perché è diverso da tutti gli altri, è folle ma anche un po’ solo. Perché è come un principe con il suo regno: gli altri si azzuffano per il campo, lui invece è il signore del suo spazio, è libero, non dipende da nessuno. E poi è piú facile segnare che parare e a me piacciono le cose difficili».

Dei tanti ruoli che si possono occupare nel rettangolo di gioco, il portiere si distingue dagli altri: per la divisa, per la posizione, perché può toccare il pallone con le mani, perché spesso è lì da solo, l’ultimo baluardo della squadra, colui in cui tutti i tifosi ripongono la speranza della parata miracolosa.

Nell’ultimo libro di Roberto Vecchioni “Tra il silenzio e il tuono”, in una delle tante deliziose lettere, si parla di Andrea, che aveva scelto il ruolo del portiere. Colui che deve fare le cose difficili, perché parare è più difficile di segnare. Sarà, ma quando da piccoli chi finiva in porta era il più debole della squadra, quello che non ci voleva mai stare perché un gol passa alla storia, una parata decisamente meno. Addirittura una papera può togliere il sonno per diverse notti, forse per anni.

Mi soffermo spesso a guardare il portiere: immagino i suoi pensieri, deve riporre molta speranza nella difesa capace di neutralizzare gli attacchi degli avversari, così come deve affidarsi a tecnica, istinto e un po’ di pazzia. Sì, perché per stare lì a farsi prendere a pallonate ci vuole coraggio e un pizzico di follia. Faccia a faccia, senza paura.