Perchè la vita merita di essere raccontata

Categoria: libri

Perché proprio il portiere?

«Ma perché proprio il portiere?» . Andrea fu come se si illuminasse: «Perché è diverso da tutti gli altri, è folle ma anche un po’ solo. Perché è come un principe con il suo regno: gli altri si azzuffano per il campo, lui invece è il signore del suo spazio, è libero, non dipende da nessuno. E poi è piú facile segnare che parare e a me piacciono le cose difficili».

Dei tanti ruoli che si possono occupare nel rettangolo di gioco, il portiere si distingue dagli altri: per la divisa, per la posizione, perché può toccare il pallone con le mani, perché spesso è lì da solo, l’ultimo baluardo della squadra, colui in cui tutti i tifosi ripongono la speranza della parata miracolosa.

Nell’ultimo libro di Roberto Vecchioni “Tra il silenzio e il tuono”, in una delle tante deliziose lettere, si parla di Andrea, che aveva scelto il ruolo del portiere. Colui che deve fare le cose difficili, perché parare è più difficile di segnare. Sarà, ma quando da piccoli chi finiva in porta era il più debole della squadra, quello che non ci voleva mai stare perché un gol passa alla storia, una parata decisamente meno. Addirittura una papera può togliere il sonno per diverse notti, forse per anni.

Mi soffermo spesso a guardare il portiere: immagino i suoi pensieri, deve riporre molta speranza nella difesa capace di neutralizzare gli attacchi degli avversari, così come deve affidarsi a tecnica, istinto e un po’ di pazzia. Sì, perché per stare lì a farsi prendere a pallonate ci vuole coraggio e un pizzico di follia. Faccia a faccia, senza paura.

Le carezze della terra

La terra si sentì rispettata e sollecitata, e regalò nel tempo dovuto un bellissimo raccolto. Gnazio se lo aspettava, ma non per questo non ringraziò la terra e il vento, e restituì un sorriso e molte carezze a quell’oro che copriva il verde e si muoveva silenzioso nella brezza che veniva dal mare. (Andrea Camilleri, Maurizio de Giovanni, Il canto del mare)

“Il canto del mare” è un libricino molto bello, l’ho letto con interesse. E’ una favola per adulti, con tutto l’incanto di un romanzo poetico di Camilleri, reinterpretato da Maurizio De Giovanni, arricchite dai disegni Mariolina Camilleri, ultimogenita del grande scrittore siciliano.

Il lettore si perde in questa favola dove c’è tutto quanto possa emozionare: l’amore, l’arte della narrazione, la natura, l’avventura, una sirena, gli alberi e ovviamente il mare. Il protagonista, Gnazio, il mare non lo può neanche vedere, ricordo di un viaggio da emigrante nella lontana America. Eppure impara a conviverci, mettendo con esso una rispettosa distanza di sicurezza. Gnazio ama la terra, la rispetta, la valorizza, la tratta con il rispetto dovuto ed essa – riconoscente – lo ricompensa sempre. Fedele al suo amore e al rispetto per la terra non scenderà a compromessi, diventerà la sua ragione di vita.

In questo tempo dove l’uomo sembra aver dichiarato guerra al bene comune del creato, c’è da imparare che la terra ci nutre, è “madre” come la chiamava San Francesco. E come Gnazio non dovremmo smettere di ringraziarla. Il suo sorriso non mancherà.

Prendiamoci cura delle parole

“Poi c’è il linguaggio: non è forse metro di accudimento? Immagina una terra che rimane muta, prova a pensare a giorni simmetrici senza vocabolario, le parole non nate o non accolte sarebbero aborti di piccole memorie e piccole storie. Le storie sono terra fertile e, come diceva tuo nonno, piene di contraddizioni per tenerci in equilibrio”. (Valeria Tron, L’equilibrio delle lucciole)

Ci sono giorni in cui le parole esagerano. Mi invadono, mi cercano, altre volte addirittura mi perseguitano: queste ultime sono quelle più inutili, sprecate, pezzi di frasi malsane che nascono da bocche aride. In momenti come questi, mentre scrivo, lascio spazio al silenzio per riappropriarmi delle parole che scorrono sulla tastiera. Le cerco nella mia memoria, le ritrovo, le riabbraccio. E’ in momenti come questi che sento l’accudimento, dove le parole scritte nel vocabolario diventano memoria, racconti, ricordi, speranze.

Siamo esseri dotati di linguaggio verbale, gli unici. A volte bastano poche parole per inventare storie, altre volte ne servono di più per rivivere il passato, altre volte le parole diventano note tra lunghi silenzi, sono centellinate, cercate e curate.

Prendiamoci cura delle parole.

Il deserto di “Fratellino”

«Voi qui avete il mare ma noi là abbiamo il . Se i tuoi occhi non hanno mai visto il deserto, non puoi capire bene che cos’è. Il deserto è un altro mondo, ci entri e pensi: “Non uscirò mai da qui”».

Sotto suggerimento di Papa Francesco, ho letto il libro “Fratellino”. Mi aspettavo un libro duro, capace di far sussultare le coscienze. Le aspettative non sono state deluse, anche se ero “preparato” dal momento che un libro simile, di straordinaria intensità narrativa (Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura) aveva già toccato il tema del dietro le quinte del fenomeno migratorio.

Quando vediamo i barconi arrivare a Lampedusa, stipati di uomini, donne e bambini, stiamo vedendo l’ultimo secondo di un film lunghissimo; il finale spesso tragico dell’arrivo dei migranti è narrata in questo libro “Fratellino”, che pone l’attenzione sui momenti drammatici che vivono i migranti molto tempo prima di salire su un barcone. Un tragico “dietro le quinte” spesso ignorato.

Quando sentiamo parlare di “tratta di esseri umani”, “sfruttamento”, “schiavitù”, sembrano parole distanti da noi, come il deserto che Ibrahim si è trovato ad attraversare. Il protagonista narra, non scrive, la sua storia con tutto il realismo del caso, senza fare sconti. Il lettore non può che rimanere attonito davanti a tanto orrore; in Africa ci sono armi ovunque, una violenza senza pietà che si riversa nei confronti di chi prova a darsi un’altra possibilità fuggendo dalla fame e dalle guerre, ritrovandosi invece in una morsa di violenza e sfruttamento che meritano l’attenzione dell’intera popolazione mondiale.

Quando vediamo queste persone arrivare dal mare dovremmo conoscere le loro storie, da cosa realmente scappano e quanto è costato il loro viaggio fin qui. “Fratellino” è una storia triste quanto drammaticamente attuale; accogliere i migranti è un normale gesto di umanità, che sembra tanto difficile comprendere. La legge del mare e la legge dell’uomo non può abbandonare nessuno, soprattutto chi fugge.

Mi sono trovato anche io nel deserto con Ibrahim, partito alla ricerca di un fratellino di cui non aveva più notizie; mi sono perso nel deserto di questa umanità in cui tanto credo, incapace però di riconoscere e ritrovare i nostri fratellini.

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