“Poi c’è il linguaggio: non è forse metro di accudimento? Immagina una terra che rimane muta, prova a pensare a giorni simmetrici senza vocabolario, le parole non nate o non accolte sarebbero aborti di piccole memorie e piccole storie. Le storie sono terra fertile e, come diceva tuo nonno, piene di contraddizioni per tenerci in equilibrio”. (Valeria Tron, L’equilibrio delle lucciole)

Ci sono giorni in cui le parole esagerano. Mi invadono, mi cercano, altre volte addirittura mi perseguitano: queste ultime sono quelle più inutili, sprecate, pezzi di frasi malsane che nascono da bocche aride. In momenti come questi, mentre scrivo, lascio spazio al silenzio per riappropriarmi delle parole che scorrono sulla tastiera. Le cerco nella mia memoria, le ritrovo, le riabbraccio. E’ in momenti come questi che sento l’accudimento, dove le parole scritte nel vocabolario diventano memoria, racconti, ricordi, speranze.

Siamo esseri dotati di linguaggio verbale, gli unici. A volte bastano poche parole per inventare storie, altre volte ne servono di più per rivivere il passato, altre volte le parole diventano note tra lunghi silenzi, sono centellinate, cercate e curate.

Prendiamoci cura delle parole.