Non c’è nulla di più stagno del magone per fare barriera al sapere. La risata la puoi spegnere con uno sguardo, ma le lacrime…” (Daniel Pennac, Diario di scuola)

In questi giorni i docenti sono impegnati nel difficile compito di valutare i propri studenti, con voti e giudizi. Difficile, discutibile, umiliante: mi limito a questi tre aggettivi.

Discutibile perché la valutazione del sapere è qualcosa di improponibile soprattutto a livello globale: per un insegnante di italiano un ragazzo ha tutti 4, per quello di matematica tutti 7. Come si fa? Quali sono le giuste misure per quantificare un sapere? Andrebbero analizzati tanti e troppi fattori per capirci qualcosa e forse neanche basterebbero per farci un’idea vicina alla realtà. E qui subentra la discutibilità di quanto tutti gli insegnanti sostengono, perché ogni valutazione deve essere sempre la somma di tante visioni. In tutto questo si prova una certa umiliazione mista a superbia perché tentiamo di riassumere con numeri o voti il sapere di un allievo.

Il magone di non sapere e le lacrime che ne derivano le ho provate anche io quando mi trovavo davanti ai numeri da ragioniere, alle tecniche di un presunto bancario o addirittura a cimentarmi in una incomprensibile lingua fatta di segni come la stenografia. Quanto tempo ho perso, quante lacrime di rassegnazione: nessuna comprensione, nessuno che mi abbia mai chiesto “quali sono i tuoi talenti?”.

I nostri studenti hanno valori nascosti. Tempo fa una maestra disse ad un bambino: secondo me dovresti studiare recitazione. Ora, a 16 anni, recita in piccoli e grandi teatri, impara, si fa le ossa, crede nei suoi sogni e in ciò che la sua maestra intravide in tenera età. E’ stato lo scrutinio migliore, non c’è valutazione che tenga.

E la maestra è tornata ad applaudirlo, perché questo è educare.