Oggi è il 12 maggio. Non una data qualsiasi. Almeno per chi è laziale. Esattamente 50 anni fa la mia squadra del cuore vinceva il primo scudetto della sua storia. Ed io dov’ero? Cosa ricordo di quella giornata? Niente, non ricordo niente perché ero nel pancione di mia madre, mancavano 5 mesi alla mia nascita, dovevo essere lungo più o meno 22 centimetri… troppo poco ma abbastanza per cucirmi quello scudetto addosso.
Quando sono nato, ad ottobre, la mia squadra giocava con il tricolore sul petto e anche se io non lo sapevo, simbolicamente, ce l’avevo cucito sulla tutina.
Di quella squadra ho solo i ricordi di chi l’ha vissuta e ciò che sono riuscito a ricostruire nel tempo, sia dal punto di vista sportivo che sociale. Erano gli anni della Roma di piombo, del terrorismo, di una svolta del nostro Paese che era nella fase calda; dopo il ’68 c’eravamo noi degli anni ’70, c’ero io, piccolo e inconsapevole di quanto succedeva accanto a me.
Della Lazio di Maestrelli ricordo il poster in casa, con quegli undici giocatori accasciati, il pallone bianco con i pentagoni neri. Una foto semplice. Tra i tanti spiccava Chinaglia, ma soprattutto un angelo biondo, Luciano Re Cecconi di cui mio padre mi raccontava le gloriose gesta sportive e il suo tragico epilogo. Mi parlavano del dolore di mio fratello una volta appresa la notizia della sparatoria in cui perse la vita per un tragico scherzo. Di Maestrelli ricordo un disco 33 giri in cui c’erano le voci storiche di quello scudetto e lì si parlava di lui, di quella squadra così matta eppure così affascinante. Il resto l’ho ricostruito negli anni con i documentari e le interviste dei protagonisti di allora.
Mio padre seguiva gli allenamenti da vicino, viveva quella squadra e quel calcio in modo attivo. I tifosi erano i veri supporter, non erano clienti da spennare.
Poi sono cresciuto e quello scudetto sul petto era solo un vago ricordo mentre io, circondato da romanisti che festeggiavano lo scudetto ed una squadra stellare, soffrivo per una squadra che faceva su e giù dalla A alla B. Era difficile essere un bambino laziale a quel tempo, ma ho resistito, non potevo tradire quei colori e la lazialità di mio padre e della mia famiglia.
Oggi si ricorda quella giornata; simbolicamente torno nel pancione di mia madre, per godermi quei suoni attutiti della festa. Tornerò a nascere, tornerò a cercare quella squadra, quei campioni che mi hanno fatto nascere con il tricolore sulla tutina!