Perchè la vita merita di essere raccontata

Categoria: genitori

Due madri leonesse

Una strada sterrata. Due leonesse, simbolo di forza, dominio, potenza, formidabili cacciatrici. Poco distante alla loro sinistra un piccolo leoncino, probabilmente nato da poco viste le dimensioni. Il piccolo cammina con un passo apparentemente incerto, muove i primi passi nel mondo: quel territorio – scoprirà in seguito – dove la lotta per la sopravvivenza è all’ordine del giorno. Dovrà imparare a cacciare, a stare lontano dai pericoli, farsi forte e robusto.

In questa foto le due leonesse non proteggono il cucciolo, piuttosto mantengono una distanza; il messaggio è chiaro: noi ti proteggiamo ma inizia a fare da solo, segui il nostro andare.

Trovo queste due leonesse delle perfette educatrici. Stando al loro fianco il cucciolo crescerà con il loro esempio, imparerà ad imitarle fin dai primi passi. Le leonesse devono essere per lui un esempio di sicurezza, coerenza, forza e coraggio. Un po’ come fanno le anatre con gli anatroccoli sulle rive del fiume: prima si butta la madre e – in seguito – i piccoli.

Il mondo animale, con la sua spontaneità , è maestro.

Ci comportiamo diversamente noi umani; vediamo mamme e papà apprensivi, protettivi fino ad inibire totalmente le capacità di crescita di un figlio. Incontro bambini incapaci di assolvere alle più normali funzioni vitali: allacciarsi le scarpe, togliere un giacchetto, risolvere semplici problemi quotidiani perché abituati ad avere un adulto alle spalle che si sostituisce completamente a loro. E così invece di avere due leonesse che camminano al fianco di un cucciolo nella savana, vediamo tre bambini (mamma, papà e figlio) i cui ruoli non sono ben definiti e spesso si interscambiano.

In ogni camera dove dormono due genitori dovrebbe esserci una foto come questa che possa ricordare che la vita è camminare insieme, dare l’esempio e segnare il passo.

La Pasqua dell’educatore – La domenica: largo alla gioia

Le campane hanno fatto sentire da poco i loro rintocchi con vigore, sono state slegate per poter tornare a suonare. Quel silenzio dei giorni scorsi viene finalmente infranto per lasciare spazio ad un suono festoso. Il canto esultante dell’Alleluja è risuonato poco fa nelle veglie pasquali; ci si scambiano gli auguri, se la Pasqua vuol dire “passaggio” auguriamoci un buon passaggio, ognuno sceglierà quale preferisce.

La gioia è un aspetto importante, maggiormente sotto il profilo educativo. Va cercata prima di tutto dentro di noi, approcciandoci alla vita con speranza: qui entrano in gioco l’educazione ricevuta, le esperienze vissute, quanto spazio abbiamo dato alla nostra crescita personale. Genitori ed educatori gioiosi riusciranno più facilmente a trasmettere allegria e leggerezza. Spesso fanno la differenza.

Questa risurrezione fa ben sperare: genitori, insegnanti, educatori devono sempre sperare, guardare alla luce, al cielo.

Buona Pasqua ai lettori di queste pagine, a tutti voi che generosamente avete la pazienza di leggere queste riflessioni.

La Pasqua dell’educatore – il sabato: il valore del silenzio

Giorno particolare quello del sabato santo. Nelle chiese non c’è alcuna celebrazione, tutto tace, è doveroso rispettare il silenzio. L’unico giorno aliturgico dell’anno. Niente messe, niente rosari, niente cori e soprattutto niente campane che hanno smesso di suonare dal giovedì santo. Tacciono le Sacre Scritture, per un giorno anche i personaggi biblici sono nell’oscurità.

Per i cristiani Gesù è nel sepolcro. Il giorno dopo il lutto è doveroso rispettare un silenzio spirituale.

Talvolta anche in campo educativo è necessario vivere un momento di silenzio. Provo a sperimentare un momento di silenzio quando vengo travolto da qualche problematica, lasciando spazio alla riflessione, dominando l’impulsività, sempre cattiva consigliera.

Con gli anni sto imparando che ogni tanto qualche problematica educativa è bene che riposi un attimo nel suo sepolcro, nell’attesa di vedere una nuova luce e una nuova gioia. Perché mai nulla è perduto; la vita vince sempre, come ci mostrano quelle piantine che crescono in mezzo alle rocce dove la vita ha poco spazio. Se ce la fanno loro, possiamo farcela tutti.

E’ vero che per educare sono necessarie le parole, talvolta però è doveroso restare in silenzio che diventa pregno di speranza e di attesa. Non di inutile dolore.

La Pasqua dell’educatore: il venerdì, accompagnare il dolore

E’ il giorno delle lacrime, della sofferenza, della morte, della croce, del silenzio. Soprattutto il giorno in cui una Madre è costretta ad assistere a ciò che di più ingiusto e innaturale possa sopportare: accompagnare un figlio verso la morte, sopportarne il dolore, annientando qualsiasi conforto.

Mi colpisce – da insegnante ed educatore – questo aspetto. Tante volte assistiamo alla distruzione – o ancor peggio, dell’autodistruzione – dei nostri ragazzi e ragazze. Li vediamo persi, annientati dalle poche speranze, lontani da sogni e ambizioni; ancora peggio quando a diventare padroni delle loro vite sono le droghe, l’alcool, le dipendenze.

Piangeva Maria sotto la croce, piangono tante mamme e tanti papà; quante volte mi è capitato di vedere le lacrime di una mamma, sono le più faticose, le più ricche d’amore.

Eppure, a volte, la fase del dolore e della disperazione dobbiamo abbracciarla. Lo ha fatto Maria, non è stata esclusa da questa emozione. Accompagniamo nei momenti più tristi i nostri giovani, non lasciamoli soli, appesi nelle loro croci.

La Pasqua dell’educatore – il giovedì: servizio e dono

Cerco nelle storie e nei libri che leggo l’aspetto educativo, un po’ per passione, un po’ per deformazione professionale. Non sono esenti da questo i testi evangelici, reputo Gesù un grande maestro al di là dell’aspetto divino che parla solo alle persone con fede.

I testi e i riti della Pasqua quest’anno mi suggeriscono più di uno stimolo. Il giovedì è il giorno della lavanda dei piedi e dell’istituzione dell’Eucaristia. Un maestro come Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli indica la direzione anche per insegnanti ed educatori: l’amore è servire. Colui che insegna, colui che è maestro/a deve abbassarsi verso i propri alunni, mettersi al servizio; scendere dal trono – l’autoritarismo genitoriale, la cattedra – per farsi umili. Noto, invece, quanti, tra genitori e docenti (soprattutto), amano essere serviti e talvolta anche riveriti. Il messaggio è chiaro, Gesù lascia sconcertati anche i suoi amici, qualcuno non riesce ad accettare questo gesto da servo. Per regnare è necessario servire, scendere dal proprio trono.

Poi c’è il dono dell’Eucaristia. E’ il dono totale di sé stessi, corpo e sangue. Un pane che resta, un vino che non perde il sapore. Anche qui il messaggio mi pare chiaro: donarsi, sempre. L’amore ha nella generosità la sua massima espressione. Un educatore deve donarsi, deve offrire se stesso sempre, ben oltre i limiti del suono della campanella.

In questo giovedì mi porto dietro due parole: servizio e dono. La vita di un educatore è soprattutto questo.

Un padre sognatore

C’era un uomo di nome Giuseppe. Il suo lavoro era il falegname. Da piccolo pensavo che mio padre, il cui nome era Giuseppe ed era un artigiano abile anche lui nel lavorare il legno, avesse qualche attinenza con San Giuseppe. Nella mia mente di bambino avevo costruito questo collegamento di fantasia.

È davvero piena di poesia e romanticismo la vicenda di San Giuseppe. Spesso l’arte ce l’ha mostrato nel modo peggiore: anziano, pensieroso, distaccato, a volte addirittura assente nei quadri della natività. Nelle nostre chiese troviamo tante luci e candele in onore di Maria, mentre San Giuseppe è posizionato in qualche angolo umido e poco illuminato, (sempre ammesso che ci sia una sua statua.) Potrebbe sembrare a tutti gli effetti una figura minore nella storia del cristianesimo.  

Di lui non si sa molto a parte che appartenesse alla stirpe di David, nato a Betlemme, falegname di mestiere e che la sua promessa sposa ad un certo punto gli comunica di aspettare un figlio dal Signore. Cosa farebbe un altro uomo? Si porrebbe certo molte domande, forse opterebbe per il ripudio. E invece lui no, Giuseppe crede nei sogni. Doveva essere un sognatore: viene tranquillizzato nel sogno e sempre da un sogno apprende che doveva mettere in salvo il Bambino Gesù dalla furia omicida di Erode. Ama la sua sposa Maria e poi parte per l’Egitto, perché chi crede nei sogni crede nell’amore e sa proteggere, affidandosi alla volontà di Dio.

Di Giuseppe poi non sappiamo più nulla. Nessuna parola nei vangeli, nessuna notizia neanche sulla sua morte; i cristiani lo invocano per una “buona morte” dal momento che si suppone si fosse spento vicino a Maria e Gesù.

San Giuseppe era quindi il padre ‘terreno’ di Gesù. Nel silenzio e nell’umiltà ha svolto il suo lavoro di padre; non doveva essere facile essere il papà di Gesù, nonostante tutto ha accettato questo ruolo facendosi piccolo davanti a Gesù. Addirittura, leggiamo nel Vangelo, quando gli abitanti della sua patria vedono arrivare Gesù si domandano “Non è questi il figlio del falegname?” (Mt 13,55), come se essere figli di un carpentiere volesse essere in una condizione disprezzabile.

La festa del papà cade nella memoria liturgica di San Giuseppe. Temo che quella poca considerazione di San Giuseppe di cui parlavo in apertura è la stessa che si proietta nei padri del nostro tempo; nella storia della pedagogia il padre è sempre stato il grande assente, impegnato nel portare a casa uno stipendio, estraneo all’educazione dei figli e alle vicende domestiche. Ho avuto questa triste sensazione quando ho dovuto cercare su internet delle poesie sul papà per questa giornata: ne esce un quadro desolante e deprimente.

Ho chiesto ai miei alunni di descrivermi in poche parole il loro papà. C’è un affetto sincero e malinconico nei confronti di molti papà, costretti a volte ad assentarsi per lavoro, altre volte presi e persi in mille cose. Mi piacerebbe vedere dei padri credere nei sogni, proprio come san Giuseppe, per amare e difendere, vivere e lottare, ridere e soffrire con i figli.

Il padre che perdona

“Il padre che perdona entra in dialogo con le colpe dei figli: le riconosce, le interroga, ci riflette, si domanda come può offrire un aiuto per superarle, ma sa anche aspettare, sa confidare nella capacità di crescere e sa accettare di non poter risolvere magicamente le difficoltà più grandi”. (Antonio Mazzi, Nel nome del padre)

Sentiamo spesso parlare di perdono. A volte sembra essere diventato un prodotto commerciale nei fatti di cronaca nera: viene ammazzato qualcuno/a, si chiede al parente più prossimo della vittima se è disposto a perdonare. Troppo facile.

Nel libro di don Mazzi, “Nel nome del padre”, il buon prete ultranovantenne solo per l’anagrafe, ci propone una lunga riflessione sulla paternità. Tra i tanti aspetti analizzati mi è piaciuto il padre che perdona, capace di entrare in dialogo con i figli, analizzando, riconoscendo, riflettendo sulle colpe. La sua capacità di attesa, di confidare nella crescita farà di lui un padre diverso dagli altri. Ho sempre cercato di trasmettere ai miei figli che dietro ogni loro marachella l’ultima parola era sempre il perdono.

Deve essere così, un padre misericordioso (letteralmente “che ha pietà con il cuore”) è colui che accetta le debolezze dei figli che poi sono anche le sue. Per le mamme è diverso, il loro rapporto viscerale cambia naturalmente l’approccio educativo.

Il perdono ha in sè la parola dono. Può fare la differenza nei rapporti quotidiani genitori-figli. Il perdono forgia l’anima e la rafforza, nel riconoscere il proprio errore un bambino/ragazzo sperimenterà anche la consolazione. E’ ciò che abbiamo sempre cercato e che continueremo ad attendere.

“Genitori rilassati cercasi” in tutte le librerie

E’ uscito oggi il mio nuovo libro, dedicato alle dinamiche della crescita in un tempo sempre più dominato dall’ansia e dallo stress, dove i genitori e gli educatori si trovano davanti a sfide importanti nella crescita di bambini, adolescenti, ragazzi. L’invasione della tecnologia, le dinamiche relazionali, le maggiori problematiche scolastiche, i gruppi whatsapp dei genitori, la solitudine dei nostri giovani, la disabilità: queste e tante altre le tematiche che ho voluto trattare in questo mio nuovo lavoro.

Un libro che affonda le radici nella mia famiglia anni ’80 in cui le dinamiche e i ruoli erano chiari; nel tempo odierno troviamo smarrimento da parte dei genitori e anche degli educatori. Per crescere figli sereni e positivi è necessario dedicare loro un tempo vero, fatto di ascolto, incoraggiamento, supporto, senza dimenticare il buon umore, elemento indispensabile in tutti i campi, soprattutto nell’educazione. Nel libro ho raccolto tante storie che ho ascoltato nei miei venticinque anni di scuola, cercando di offrire il mio punto di vista che nasce dall’esperienza scolastica.

E’ un libro a cui tengo particolarmente, scritto con passione e impegno. Ringrazio anticipatamente tutti i lettori che vorranno provare a diventare “Genitori rilassati”, perché in fondo è il desiderio di tutti. Provare per credere!

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