Perchè la vita merita di essere raccontata

Categoria: vita

Dovremmo fare come i fiori

E’ un timido pomeriggio di aprile, l’ora del tramonto. Con l’arrivo della bella stagione riconquisto spazi, energie e momenti che solo la primavera sa offrire. Riapro la sdraio, un tiepido sole mi scalda dopo una improvvisa coda autunnale. Ho con me il mio e-reader, leggo quasi esclusivamente in formato digitale per praticità.

Guardo i miei fiori. Non ho tantissime piante, con quelle che ho provo a dare colore allo spazio esterno; cerco la giusta esposizione, godo dei colori, annaffiarle è un segno di ringraziamento alla natura.

Tra poco arriverà il grande caldo; si starà fuori solo nelle ore più fresche, prevalentemente la sera. Sarà impossibile stare tranquilli in piena estate nell’ora del tramonto, a patto che uno sia immune dall’attacco delle zanzare.

Credo che il mese di aprile costituisca una grande promessa. I primi germogli e i primi fiori sanno guardare avanti, scandire il tempo, non guardano al passato ma ad una nuova stagione che sta per iniziare.

Dovremmo fare come i fiori, confidare nei primi germogli, cercare di fiorire – perché questo devono fare -, splendere nel momento migliore ed accettare che arriverà il tempo in cui, per natura, i petali dovranno cadere. Oppure fare come è successo la scorsa estate in un vaso: una surfinia ha convissuto pacificamente in piena estate con un tenace ciclamino, creando una alchimia inaspettata. Due diversità che hanno accettato di farsi ombra reciprocamente.

Guardare i fiori vale più di tante lezioni.

il fiore nella foto è una rosa della mia terrazza

Me lo ricordo quell’insegnante

Me lo ricordo quell’insegnante. Sì, me lo ricordo perché un vero insegnante sa in-segnare una vita e quel tocco magico non se ne va più.

Me lo ricordo quell’insegnante che, poco più che bambino, mi affascinò con il carisma, perché solo quelli veri hanno carisma.

Me lo ricordo quell’insegnante che un giorno perdonò una mia acerba ingerenza: solo quelli veri sanno mettere davanti la gentilezza e la dolcezza.

Me lo ricordo quell’insegnante che metteva al primo posto i suoi allievi, mai se stesso. E’ dote rara di chi si sente al servizio e mai servito.

Me lo ricordo quell’insegnante che mi ha accompagnato per lunghi anni della mia vita, ascoltandomi, rispettandomi e aprendo il suo cuore.

Me lo ricordo quell’insegnante che, una volta cresciuto, riuscì a trasformare l’insegnante in un amico, perché le differenze di età le persone vere non le calcolano proprio.

Me lo ricordo quell’insegnante che tornò ad insegnarmi, una volta cresciuto, con la stessa passione e carisma di un tempo: anche se un po’ arrugginito un vero maestro non perdere mai lo smalto per ciò che ama.

Me lo ricordo quell’insegnante che mostrò i suoi punti deboli dell’anima, perché sapeva essere uomo prima che qualsiasi altra cosa.

Me lo ricordo quell’insegnante che ho accompagnato fino alla partenza da questa terra; insieme c’erano i suoi allievi perché un vero maestro unisce e riunisce.

Me lo ricordo quell’insegnante. Certo che me lo ricordo perché ho avuto l’onore di essergli al fianco.

Me lo ricordo quell’insegnante portandolo con me ogni giorno, nella speranza di essere solo una briciola della sua grandezza.

Me lo ricordo quell’insegnante perché persone così toccano una vita e segnano un’esistenza.

Un giorno in più

Tutti conserviamo il tempo. Conserviamo l’antico significato di ogni persona che ci ha lasciato. E anche noi siamo ancora questi antichi significati, sottopelle, sotto lo strato di rughe, esperienza e risate. Proprio là sotto siamo ancora quelli di una volta. I bambini di una volta, gli amanti di una volta, i figli di una volta” Nina George – Una piccola libreria a Parigi.

Oggi è 29 febbraio, scrivere una breve riflessione in una data simile accade una volta ogni quattro anni. Mi sono detto che era meglio approfittare di questa occasione.

Guardo il calendario e vedo questo giorno in più, il 29, numero insolito per febbraio, ordinario per tutti gli altri. Sembra che il tempo voglia regalarci un giorno in più, tempo di cui non siamo padroni ma ignari beneficiari. Cosa fare in questo giorno? Come trascorrerlo? Saremo capaci di goderci un “giorno bonus” inserito nel nostro calendario come compensazione astrale nella rotazione terrestre?

Ripenso alla frase proposta da Nina George, nel suo bel libro “Una piccola libreria a Parigi”. Mi piacerebbe trascorrerlo ricordando pezzi di me, stralci di vita; di quali esperienze siamo fatti, quali amori, amicizie, successi e cadute ci hanno permesso di guardare il cielo in questo giorno bisestile. Perché in fondo non siamo altro che il risultato di storie e incontri.

L’arte con i guanti bianchi

L’arte va trattata con cura, merita il contesto idoneo per essere apprezzata in pienezza. L’abbiamo strapazzata a tal punto da trasformarla in un genere di facile consumo.

Con un cellulare possiamo ascoltare musica mentre siamo in treno, in aereo o in mezzo ad una piazza; con lo stesso mezzo possiamo anche vedere un film sdraiati sul letto. Un quadro o un affresco possiamo osservarli dal computer o dal tablet, per non parlare di un film, visibile da uno schermo da sei pollici fino alle moderne tv domestiche.

C’è un ambiente per ogni cosa. Sarò della vecchia scuola che la musica si ascolta con un impianto hi-fi, che la bravura di un attore va apprezzata in un teatro; il cinema è la dimensione ideale per godere di un film, fatto di immagini, musiche, luci, colori, così come una mostra ben curata è il modo migliore per godere della pittura di un quadro.

Un artista cerca con cura ciò che darà forma alla sua opera: il regista la giusta sceneggiatura; il compositore il timbro giusto di un violino; uno scrittore la parola che dà forma al suo libro; lo scultore il giusto colpo da assestare per dare vita alla sua opera.

Inutile illuderci che tutto possa adattarsi al mezzo che abbiamo a disposizione: mortifica l’artista, offenderebbe l’opera. Prendiamoci il tempo e l’attenzione per godere del bello nella sua piena espressione, non potrà far altro che arricchire l’anima.

La neve e il fiore

Nell’aria un solo colore, il Monte si nascondeva alla vista ma c’era, e sotto la neve vecchia il bulbo del fiore resisteva, resiste. Ai miei piedi, su un ramo di abete spezzato dalla tempesta, gli aghi continuavano a mantenersi saldi, forse a germogliare, e non so se chiamarli ingenui, matti o valorosi.

Lorenzo Marone – La donna dell’albero

Sento notizie allarmanti per uno come me che non ama il freddo: calano le temperature, neve, ghiaccio in arrivo. Normale, siamo in inverno. La stagione fa il suo dovere con un po’ di ritardo. Nel bellissimo libro di Lorenzo Marone, “La donna degli alberi”, l’autore porta il lettore a vivere un anno in montagna, con il divenire delle stagioni, il letargo degli animali accompagnato dal ciclo vitale alcune piante. Sotto la neve, la protagonista del libro, trova un bulbo, forte, resistente: ingenuo, matto o valoroso? Lo definirei un maestro, esemplare di resistenza e attaccamento alla vita. La tempesta può spezzare, la vita non molla la sua presa e continua a vivere, impavida, spavalda, incurante di ogni avversità.

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