«Ho fatto tanti sacrifici ma ne hanno fatti anche loro [i genitori], lasciare il proprio figlio a 13 anni non è semplicissimo. A Vienna abbiamo fatto colazione insieme per tutta la settimana ed è stato strano perché non succedeva da anni, quando torno a casa, in montagna, non sto mai più di un paio di giorni quindi un’intera settimana di colazioni con i miei è stato diverso, buffo, ma anche bello e speciale. Averli vicini significa tanto per me, però per come conosco i miei genitori per loro è più importante vedermi felice che alzare una coppa. Se mi vedono felice, ecco, abbiamo già vinto».
Sinner è il vincitore dell’Australia Open. Ragazzo serio, pacato, sorridente. Non manca un pensiero per i propri genitori; è bello che un atleta sugli scudi abbia avuto la sensibilità di ricordare i sacrifici dei genitori che gli hanno permesso di arrivare al traguardo che ha sempre sognato.
Ha ricordato, dopo il successo di Vienna che il “segreto” per ritrovare la serenità e lo spirito giusto è stato avere la possibilità di fare colazione con i propri genitori, capaci di intuire il talento del proprio ragazzo e a soli 13 anni permettendogli così di volare. Oggi molti tredicenni non sanno neanche farsi il letto, ma non è colpa loro, piuttosto di quei genitori che si rifiutano di farli crescere.
Quante volte abbiamo sentito padri e madri rammaricati perché non vedono la disponibilità da parte dei propri figli a portare avanti “l’azienda di famiglia”; non necessariamente bisogna riversare i propri desideri per il futuro alle nuove generazioni. Piuttosto è importante che la famiglia, ma gli educatori tutti (scuola compresa) possano aiutare i giovani a scoprire la propria vocazione, sostenerli affinché possano realizzare i propri sogni. Sempre che ne abbiano uno.